Quando si deve deliberare un’azione giudiziale nei confronti di un condomino, quest’ultimo soggetto può votare in assemblea o la sua quota deve essere scomputata dai totali?
A questa domanda una sentenza della Suprema Corte di circa un anno e mezzo fa ha dato una risposta che mi lascia molto perplesso. La pronuncia n. 19131/2015 ha affermato l’impossibilità di procedere scomputando i voti della “controparte” la quale dovrebbe comunque partecipare alla votazione con la possibilità (non l’obbligo) di astenersi. Sul punto, si riporta un estratto della sentenza: “In tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto. Pertanto, anche nell’ipotesi di conflitto d’interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentino la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all’Autorità giudiziaria“. Applicando tale principio in un condominio ove il costruttore sia titolare di 600 millesimi, non si potrà mai raggiungere la maggioranza sufficiente a deliberare un’azione finalizzata ad ottenere il risarcimento danni per vizi costruttivi; l’unica possibilità sarebbe quella che il costruttore medesimo voti a favore della causa da promuovere contro di lui (!!!).
La pronuncia presa in esame, oltre che generare notevoli problemi pratici, contraddice una serie di provvedimenti – tra cui la sentenza della Suprema Corte n. 17140/2011 – che avevano ritenuto di escludere il voto del condomino in “conflitto di interesse” applicando in via analogica l’art. 2373 c.c.. Tale norma, emanata in ambito societario, escludeva il voto del socio in conflitto di interessi; l’articolo in questione è stato successivamente novellato con l’esclusione di quella parte che che permetteva di distinguere il quorum costitutivo dell’assemblea da quello deliberativo.
A mio avviso la risoluzione alla domanda che ci siamo posti inizialmente non riguarda l’applicabilità o meno dell’ormai riformato articolo 2373 c.c., ma richiede di porre la propria attenzione sull’avvenuta scissione all’interno del condominio di due gruppi in contrasto fra di loro:
- da una parte, il condomino che impugna la delibera assembleare o il costruttore/condomino nei cui confronti promuovere un’azione giudiziaria;
- dall’altra, l’assemblea dei condomini: controparte processuale nei confronti del soggetto di cui al punto (a).
La pronuncia della cassazione oggi in commento dimentica un principio tanto semplice quanto fondamentale nel diritto condominiale: paga e decide solo chi utilizza (anche potenzialmente) del bene. Tale principio riguarda il condominio parziale, ma può essere applicato anche ad una situazione ove all’interno dell’assemblea coesistono diverse figure processuali: quella dell’attore e quella del convenuto. Tanto è vero che, nell’ambito di un giudizio relativo all’impugnazione di delibera ove il giudice abbia compensato le spese, il condominio non può ripartire proquota le spese legali da lui sostenute anche a carico del condomino impugnante (sua controparte).
Circa i quorum deliberativi/costitutivi, la presunta assoluta inviolabilità della base di calcolo delle maggioranze assembleari affermata dalla sentenza della Suprema Corte, viene smentita dal consolidato principio del condominio parziale: il quorum costitutivo/deliberativo, se un bene è destinato al servizio di solo una parte dei condomini, deve essere calcolato con esclusivo riferimento alle unità immobiliari ed ai condomini direttamente interessati.
Sul punto si riportano due pronunce della Suprema Corte di Cassazione:
- Sentenza n. 13885/2014: “Nell’ipotesi di controversia tra condomini, l’unità condominiale viene a scindersi di fronte al particolare oggetto della lite, per dare vita a due gruppi di partecipanti al Condominio in contrasto tra loro, con la conseguenza che il giudice, nel dirimere la controversia provvede anche definitivamente sulle spese del giudizio, determinando, secondo i principi di diritto processuale, quale delle due parti in contrasto debba sopportare, nulla significando che nel giudizio il gruppo dei condomini, costituenti la maggioranza, sia stato rappresentato dall’amministratore. In altri termini, la ripartizione delle spese legali, affrontate per una causa che si è persa, o per la quale il giudice ha deciso di compensare le spese affrontate, ha criteri propri rispetto al motivo della causa stessa. Ne consegue che non avendo fatto la sentenza impugnata applicazione di detto principio, non invalidando la delibera assembleare che ha posto a carico del condomino D.E. le spese processuali dal Condominio sopportate per il compenso del proprio difensore nel giudizio introdotto dal primo, la relativa statuizione va cassata“.
- Sentenza n. 4127/2016: “Trova quindi giustificazione, con riferimento alla fattispecie in esame, la delibera dell’assemblea condominiale che, con riferimento al cancello del cortile, è stata assunta ammettendo alla votazione i soli condomini comproprietari di quell’area. Infatti il condominio parziale opera proprio sul piano della semplificazione dei rapporti gestori interni alla collettività condominiale, per permettere che, quando all’ordine del giorno dell’assemblea vi siano argomenti che interessino la comunione di determinati beni o servizi limitati soltanto ad alcuni condomini, il quorum, tanto costitutivo quanto deliberativo, debba essere calcolato con esclusivo riferimento alle unità immobiliari e ai condomini direttamente interessati“.
In conclusione, ritengo non rispettoso dei principi di diritto condominiale quanto affermato dalla Corte di Cassazione n. 19131/2015 e ritengo più corretto scomputare la quota del soggetto “controparte” nell’ambito delle votazioni inerenti le azioni giudiziarie da lui promosse o da promuovere nei suoi confronti.