La presente analisi prende spunto dalla sentenza n. 18477 del 2010 emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che ha rivoluzionato l’orientamento fino ad oggi prevalente in materia di modifica delle tabelle millesimali.
Il concetto di tabella millesimale nasce dall’art. 68[1] delle disposizioni attuative del codice civile, ove si afferma che i valori dei piani o delle porzioni di piano devono essere espressi in millesimi contenuti in un’apposita tabella allegata al regolamento di condominio. In particolare, il terzo comma dell’art. 68 cit. precisa che, nell’accertamento di tali valori, non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione dei piani o porzioni di piano. Utilizzando tale strumento, è possibile, da un lato, imputare ai singoli condomini la quota di loro spettanza delle varie tipologie di spese condominiali, dall’altro, calcolare i quorum assembleari, costitutivi e deliberativi (artt. 1124, 1126 e 1136 cod. civ.).
Fino alla pronuncia della sentenza n. 18477/2010 la giurisprudenza maggioritaria riteneva che le tabelle millesimali potessero essere approvate o modificate solo con il consenso unanime di tutti i condomini ovvero che, in mancanza dell’unanimità, alla formazione delle tabelle dovesse provvedere il giudice su istanza degli interessati, comunque nel contraddittorio di tutti i partecipanti al condominio.
Il caso concreto sottoposto all’esame del giudice di legittimità riguarda l’impugnativa di una delibera assembleare con la quale era stata approvata a maggioranza, e non all’unanimità, la nuova tabella per le spese di riscaldamento. Partendo da questa situazione, nella motivazione della sentenza vengono preliminarmente illustrate le diverse argomentazioni addotte, nel corso del tempo, a sostegno della tesi predominante. Vale la pena soffermarsi, innanzitutto, sulla tesi che qualificava l’atto di approvazione delle tabelle millesimali come atto avente natura negoziale. La Corte ha rilevato che tale assunto si pone in contrasto con quanto già sostenuto dalla stessa Corte, e cioè che la tabella millesimale serve ad esprimere, in precisi termini aritmetici, il preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini, ma senza incidere in alcun modo su tali diritti[2]. Ne consegue che l’atto di approvazione della tabella consiste in una mera ricognizione della realtà ed è perciò privo di connotazioni negoziali.
Tale affermazione è stata criticata da parte della dottrina sulla base del fatto che la formazione di una tabella millesimale non costituirebbe un’operazione tecnica dall’esito certo, in quanto la legge stabilisce alcuni criteri nell’art. 68 disp. att. c.c., ma lascia spazio discrezionale ai periti, che possono applicare parametri differenti e giungere, quindi, a risultati diversi. Argomentazione cui la Corte pare indirettamente replicare, là dove rileva che l’eventuale errore nella redazione della tabella non inciderebbe “sul diritto di proprietà come tale, ma piuttosto sulle obbligazioni che gravano a carico del condomino in funzione di tale diritto di proprietà, a cui si può porre riparo mediante la revisione della tabella ex art. 69 disp. att. c.c.”.
La Corte si sofferma, poi, su quell’orientamento giurisprudenziale che attribuiva valore al comportamento dei condomini assenti, per cui se i condomini assenti pagano i contributi condominiali ripartiti sulla base della tabella approvata a maggioranza, gli stessi accettano, implicitamente, la tabella (piuttosto che la modifica della tabella); il consenso dei condomini, non trattandosi di diritti reali e non richiedendosi particolari requisiti formali per l’approvazione delle tabelle, si manifesterebbe così per facta concludentia[3]. Questa tesi ha avuto quantomeno il pregio di spostare, dalla legge all’assemblea, la competenza alla creazione/modifica delle tabelle, ed appare costituire il prodromo del nuovo orientamento della Corte.
Il principio di diritto ora affermato dalla sentenza 18477 del 2010 è racchiuso in questo passo: “Una volta chiarito che a favore della tesi della natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali non viene addotto alcun argomento convincente, se si tiene presente che tali tabelle, in base all’art. 68 disp. att. c.c., sono allegate al regolamento di condominio, il quale, in base all’art. 1138 c.c., viene approvato dall’assemblea a maggioranza, e che esse non accertano il diritto dei singoli condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva, ma soltanto il valore di tali unità rispetto all’intero edificio, ai soli fini della gestione del condominio, dovrebbe essere logico concludere che tali tabelle vanno approvate con la stessa maggioranza richiesta per il regolamento di condominio (…). Alla luce di quanto esposto deve, quindi, affermarsi che le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c., secondo comma, cod. civ.”.
Dopo aver esaminato i diversi orientamenti giurisprudenziali, confutandoli, la Corte di Cassazione riprende l’affermazione secondo cui l’approvazione della tabella millesimale non comporta alcun accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari piuttosto che sulle parti comuni, e che, al contrario, la tabella traduce tecnicamente il rapporto preesistente tra il valore delle singole proprietà ed il valore dell’intero edificio. A questo punto, la Corte può definitivamente escludere la natura negoziale della tabella ed approdare all’esame dell’art. 68 disp. att. c.c., rilevando, con un perfetto sillogismo, che se il regolamento condominiale è approvato con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma 2, cod. civ., e la tabella costituisce un allegato del regolamento, ne discende che la tabella può essere approvata con la stessa maggioranza prevista per l’approvazione del regolamento di condominio (maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio).
Nel testo della sentenza si affronta, infine, lo specifico caso delle tabelle millesimali allegate ad un regolamento di natura contrattuale. Tale analisi presuppone un chiarimento preliminare[4]. E’ stata ormai abbandonata l’opinione secondo cui sarebbero di natura contrattuale – indipendentemente dal contenuto delle rispettive clausole – i regolamenti di condominio predisposti dall’originario proprietario dell’edificio ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché i regolamenti formati con il consenso unanime di tutti i condomini. La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie hanno, infatti, concluso che occorre distinguere tra disposizioni tipicamente regolamentari e disposizioni contrattuali; le prime sono modificabili con le maggioranze previste dalla legge, mentre per le seconde è necessario l’accordo di tutti i partecipanti al condominio.
Entrambe le tipologie di clausole possono essere inserite nel medesimo regolamento, ma hanno natura contrattuale solo le clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive (divieto di destinare l’immobile a studio radiologico, a circolo …) o comuni (limitazioni all’uso delle scale, dei cortili …), oppure quelle clausole che attribuiscono ad alcuni condomini maggiori diritti rispetto agli altri. Sulla base di tali premesse, la Corte di Cassazione afferma che: “non sembra, in linea di principio, potersi riconoscere natura contrattuale alle tabelle millesimali per il solo fatto che, ai sensi dell’art. 68 disp. att. cod. civ., siano allegate ad un regolamento di origine c.d. contrattuale, ove non risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, si sia inteso, cioè, approvare quella diversa convenzione di cui all’art. 1123[5] comma 1, cod. civ.”. Seguendo questo ragionamento, si può dedurre che le tabelle millesimali di natura contrattuale sono quelle che derogano al regime legale di ripartizione delle spese, e che queste tabelle (ma soltanto queste) non possono essere modificate se con l’unanimità dei consensi dei condomini.
In conclusione, possiamo rilevare che la Suprema Corte di Cassazione, pur pronunciandosi su un caso di tabelle millesimali d’uso, affronta la problematica delle maggioranze utili alla modifica delle tabelle millesimali sia d’uso che di proprietà, statuendo la possibilità di modifica delle medesime con la maggioranza di cui all’art. 1136, secondo comma, cod. civ., vale a dire la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio.
Rammentiamo ancora che, nel caso in cui la tabella approvata presenti degli errori, sarà possibile ricorrere – anche ad opera del singolo condomino – all’istituto della revisione di cui all’art. 69 disp. att. c.c. oppure la relativa delibera potrà essere oggetto di tempestiva impugnazione ad opera del condomino la cui sfera giuridica sia stata direttamente attinta. In tal senso si è già espressa la giurisprudenza del Tribunale di Brescia, con la sentenza n. 2515/2011, in cui si legge: “[…] la recente pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite ha stabilito che: “Le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c.”.
Inoltre, la suddetta sentenza ha avuto modo di precisare che, in caso di errori nella valutazione dei millesimi di proprietà, è comunque sempre consentita la possibilità di revisione delle tabelle ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c., senza per questo escludere la tradizionale e tempestiva impugnazione della delibera assembleare, la quale, adottando millesimi errati, inciderebbe in modo diretto sulla sfera giuridico patrimoniale del condomino danneggiato.
Nella fattispecie, dunque, l’operato del condominio non può ritenersi illegittimo in re ipsa ma deve essere valutato nel caso concreto. (…)
Sulla scorta delle conclusioni del Ctu, emerge l’illegittimità dell’operato dell’assemblea condominiale, la quale ha modificato le tabelle millesimali in virtù di lavori di ristrutturazione che, invece, non hanno alterato il rapporto originario dei singoli valori di proprietà non trattandosi di alcun aumento di volumetria”.
Al di là delle critiche che possono essere mosse al ragionamento degli ermellini, è certo che le sentenze della Cassazione non costituiscono legge. Per cercare di capire se tale innovativo orientamento possa diventare quello prevalente, sarà necessario attendere le pronunce dei giudici di merito, non potendosi escludere clamorosi discostamenti; ricordiamo, a titolo di esempio, la sentenza di Cass. SS.UU. n 9148/2008 sulla parziarietà delle obbligazioni condominiali, la quale è già stata disattesa con forti toni di critica. Da citare la recente sentenza n. 21907 del 21-10-2011 della Sezione seconda della Suprema Corte che, seppure in un caso diverso da quello esaminato nella sentenza 9148/2008 ha fortemente criticato i principi di diritto posti alla base di tale sentenza discostandosi da essi ed affermando esattamente il contrario e cioè che “il fondamento della solidarietà passiva non risiede nell’esigenza di tutelare l’adempimento unitario di una obbligazione avente per oggetto una cosa od un fatto non suscettibile di divisione, bensì in quella di rafforzare le probabilità per il creditore di conseguire la prestazione, sia quella divisibile o indivisibile, è da escludere che l’indivisibilità della prestazione costituisca un necessario predicato dell’idem debitum”
[1] Art. 68 disp. att.ve c.c.: “Per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini.
I valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell’intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio.
Nell’accertamento dei valori medesimi non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano.”
[2] Cassazione Civile, sentenza n. 431 del 1990
[3] Cassazione Civile, sentenza n. 4774 del 1977 e 5686 del 1988
[4] Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza n. 943 del 1999
[5] Art. 1123, 1° comma, c.c. “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”