Vorrei tornare sul tema della prorogatio che già avevo affrontato all’interno del presente blog.
La dottrina prevalente ritiene ormai “morta” la prorogatio dei poteri dell’amministratore di condominio a fronte di quanto sancito dall’art. 1129 comma 8 c.c.. Il nodo della questione riguarda il significato attribuito all’espressione “cessazione dell’incarico“; nel caso in cui la cessazione si verifichi al termine dell’anno di mandato (o dell’anno + 1 di incarico), secondo i sostenitori di questa tesi, l’amministratore:
- potrebbe occuparsi solo della gestione ordinaria e straordinaria;
- non avrebbe diritto ad alcun compenso;
- in caso di protratta inerzia da parte dell’assemblea dovrebbe rivolgersi al giudice per far nominare un amministratore giudiziale.
I problemi derivanti da tale modalità di affrontare la questione sono evidenti; se la gestione condominiale scade al 31 dicembre, l’amministratore in carica, giunto al primo di gennaio non potrebbe più compiere alcuna attività in quanto cessato dall’incarico.
A mio avviso la prorogatio dei poteri dell’amministratore di condominio è ancora viva, non si pone in contrasto con la L. 220/2012 ed evita tutti i problemi di cui sopra.
L’istituto in commento, figura di natura prettamente giurisprudenziale, è caratterizzato dai seguenti elementi:
- si “attiva“, semplificando, nelle seguenti ipotesi: (a) inizio di una nuova gestione condominiale fino al momento della nomina formale (a seguito della riforma, tale aspetto riguarda solo l’anno successivo al rinnovo automatico); (b) dimissioni e/o revoca dell’amministratore senza la contestuale nomina del nuovo.
- attribuzione di pieni poteri gestori all’amministratore.
Consideriamo inoltre i seguenti elementi:
- negli articoli del codice civile relativi al condominio, si parla di cessazione dell’incarico solo per motivi così gravi da determinare la possibilità per ogni singolo condomino di convocare l’assemblea senza formalità (mi riferisco all’art. 71bis comma 4 disp. att.ve c.c.).
- E’ vero che l’amministratore può ricorrere al giudice per la nomina dell’amministratore giudiziale (ai sensi dell’art. 1129 comma 1 c.c.), ma ciò avviene quando l’amministratore è “dimissionario”. Cosa ben diversa riguarda il caso in cui l’amministratore chieda di essere confermato, ma l’assemblea ordinaria non abbia presenze sufficienti per procedere in tal senso.
- Se fosse vero che l’amministratore cessa dall’incarico con la fine della gestione, allora non potrebbe neppure predisporre il bilancio (ha 180 giorni di tempo dalla fine della gestione), promuovere e/o proseguire azioni di recupero del credito (anch’esse vincolate da precisi termini di legge) …
- La prorogatio non è una “scorciatoia” per l’amministratore che vuole prolungare il suo incarico sine die in quanto, in vigenza di prorogatio, ogni condomino può rivolgersi all’autorità giudiziaria per chiedere la nomina dell’amministratore giudiziale.
A supporto di quanto fin qui esposto, richiamo due sentenze di merito:
- Tribunale di Benevento, sentenza n. 43 del 17.01.2017: “Gli attori hanno sostenuto che l’amministratore condominiale, quando la nomina ne sia stata sospesa, perda il potere di convocare l’assemblea: ma, invece, esso continua ad agire, seppur soltanto in regime di prorogatio imperii, sino alla sostituzione, quanto meno in virtù dell’esigenza di indefettibilità dell’organo, privo, del resto, normativamente, di supplenti“;
- Tribunale di Roma, sentenza n. 5526 del 21.03.2017: “Sono risultate prive di fondamento le preliminari eccezioni sollevate dal convenuto posto che l’amministratore in prorogatio mantiene gli obblighi ed i doveri connessi con la carica con riguardo alle legittime richieste dei condomini”.
In conclusione, ritengo che la prorogatio sia un principio da conservare onde evitare una domanda già sentita da diversi amministratori: ma alla fine della mia gestione, cosa devo fare? prendere un furgone, riempirlo con tutti i documenti del mio condominio e scaricarlo davanti al portone di ingresso del fabbricato?