Nell’ambito dei regolamenti condominiali bisogna distinguere tra due tipologie di clausole (Cassazione Civile, sentenza n. 943/1999):
– clausole assembleari: regolamentano le modalità d’uso delle parti comuni e la vita condominiale in generale, senza derogare a norme di legge e senza limitare i diritti del singolo sulle parti esclusive. L’approvazione e la modifica di tali prescrizioni segue le regole di cui all’art. 1138 c.c.;
– clausole contrattuali: limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive (ad esempio divieto di destinare l’immobile a studio medico o a bar) o clausole che attribuiscano ad alcuni condomini maggiori diritti rispetto agli altri. L’approvazione o la modifica di tali clausole richiede l’unanimità dei consensi.
A prescindere dalle modalità di formazione di un regolamento (origine interna: assemblea – origine esterna: costruttore) al suo interno potranno coesistere sia norme di natura regolamentare (modificabili dunque con le previsioni di cui all’art. 1138 c.c., ossia con le maggioranze di cui all’art. 1136 comma 2 c.c.) sia norme di natura contrattuale (modificabili all’unanimità).
La Cassazione Civile, con la pronuncia n. 12579/2017, precisa che le clausole di natura regolamentare possono essere modificate anche per facta concludentia: “Trattandosi di prescrizione di contenuto organizzativo, ovvero propriamente “regolamentare”, del regolamento di condominio (e, non quindi, di contenuto contrattuale, ovvero incidente sulla proprietà dei beni comuni o esclusivi), ha certamente rilievo a fini interpretativi, ai sensi dell’art. 1362 c.c. , comma 2, anche il comportamento posteriore al medesimo regolamento avuto dai condomini, così com’è ammissibile che la stessa norma regolamentare venga modificata per “facta concludentia”, sulla base di un comportamento univoco“.