La sentenza della Corte di Cassazione n. 4686 del 28.02.2018, oltre ad affrontare il tema relativo alla copia dei documenti condominiali (commentato in un altro articolo), pone l’attenzione sul petitum (ciò che si chiede con l’azione giudiziale) e sulla causa petendi (ragione posta alla base della domanda formulata in giudizio) nell’ambito dell’impugnazione di una delibera condominiale.
Tale distinzione assume rilevanza con riferimento ai termini di cui all’art. 1137 c.c. ed alla nota distinzione fra delibere nulle ed annullabili: il vizio di annullabilità va eccepito entro trenta giorni.
La pronuncia in commento formula le seguenti osservazioni:
- l’assemblea dei condomini, pur in presenza di un unico processo verbale, pone in essere tante delibere distinte quante sono le questioni e le materie discusse;
- sono quindi astrattamente configurabili distinte ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra delibera;
- la sussistenza di un vizio di annullabilità della delibera richiede pertanto una specifica e tempestiva domanda relativa alla delibera oggetto di censura.
Si riporta qui di seguito l’estratto della sentenza in esame:
“È nota la ripartizione tra cause di nullità e di annullabilità delle delibere condominiali autorevolmente operata da Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806. La sussistenza di un vizio di annullabilità della delibera condominiale comporta la necessità di espressa e tempestiva domanda “ad hoc” proposta dal condomino interessato nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c.. Va aggiunto che l’assemblea dei condomini, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l’intera adunanza, pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione indicate nell’ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, con la conseguente astratta configurabilità di ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra Delib.. Di tal che, ogni domanda di declaratoria di invalidità di una determinata delibera dell’assemblea dei condomini si connota per la specifica esposizione dei fatti e delle collegate ragioni di diritti, ovvero per una propria “causa petendi”, che rende diversa, agli effetti degli artt. 183 e 345 c.p.c., la richiesta di annullamento di una delibera dell’assemblea per un motivo difforme da quello inizialmente dedotto in giudizio, e che allo stesso tempo impedisce al giudice la dichiarazione di annullamento della deliberazione dell’organo collegiale per un motivo di contrarietà alla legge o alle regole statutarie distinto da quello indicato dalla parte (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1378 del 18/02/1999; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5101 del 20/08/1986).
Ne consegue che la prospettazione in domanda e poi come motivo di appello di una ragione di invalidità della deliberazione assembleare impugnata, consistente, nella specie, nella dedotta illegittimità del compenso riconosciuto all’amministratore per il recupero forzoso del credito e per l’impedimento nella lettura del contatore obbliga il giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), a prendere in esame la questione oggetto di doglianza. Il lamentato difetto di attività del giudice di secondo grado è riscontrato nel fatto che la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila non abbia pronunciato sulla devoluta censura inerente al compenso per il recupero forzoso del credito e per l’impedimento nella lettura del contatore”.