Con una recente sentenza il Tribunale di Brescia ha pronunciato in materia di responsabilità da cosa in custodia (art. 2051 c.c.), in relazione all’utilizzo ed alla conduzione del bene “piscina”. La decisione è di estremo interesse poiché, entrando nel merito della condotta del singolo utilizzatore in relazione alle oggettive condizioni di utilizzabilità dell’impianto, circoscrive la responsabilità del custode, avuto riguardo agli adempimenti precauzionali al medesimo richiesti al fine di scongiurare l’evento dannoso.
In tema di responsabilità civile per danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, senza che assuma rilievo in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo da caso fortuito. Detto fattore attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa, che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità (Cass. 5072/2012). Il caso fortuito è inteso dalla giurisprudenza nel senso più ampio, comprensivo anche del fatto del terzo che abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno (Cass. 10556/1998), e della colpa del danneggiato (Cass. 5578/2003). In particolare, le misure di precauzione e salvaguardia imposte al custode del bene devono ritenersi correlate all’ordinaria avvedutezza di una persona e perciò non si estendono alla considerazione di condotte irrazionali e comunque al di fuori di ogni logica osservanza del primario dovere di diligenza, con la conseguenza che non possono ritenersi prevedibili ed evitabili tutte le condotte dell’utente del bene in altrui custodia, ancorché colpose (Cass. 10703/1999). Il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso all’uso della cosa si arresta di fronte ad un’ipotesi di utilizzazione impropria, la cui pericolosità è talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché l’imprudenza del danneggiato che abbia riportato un danno a seguito di siffatta impropria utilizzazione integra il caso fortuito per gli effetti di cui all’art. 2051 (Cass. 5072/2012).
Ebbene. Al vaglio del nostro Tribunale è stato sottoposto il caso dell’utente che, tuffandosi di testa nella piscina condominiale, in particolare da bordo vasca e nella zona di minore profondità dell’acqua (mt 1,20), riportava lesioni gravi ed agiva quindi nei confronti del Condominio, quale custode dell’impianto, onde ottenere l’integrale ristoro del pregiudizio sofferto. Il fatto si verificava nell’ambito di un complesso residenziale sul vicino Lago di Garda.
Con sentenza n. 3583, pubblicata in data 18.10.2013, i nostri Giudici rigettavano l’azione risarcitoria, ponendo particolare attenzione alle condizioni oggettive di utilizzo della piscina condominiale.
Nel caso di specie veniva rilevata la presenza di un regolamento di utilizzo dell’impianto che, collocato in posizione visibile a tutti gli utenti (in particolare in zona di passaggio obbligato da parte di quanti avessero ad accedere all’impianto), conteneva espresso divieto di tuffarsi. Coerentemente al divieto, la piscina non risultava dotata di trampolino (nella specie, appositamente rimosso per disposizione dell’Amministratore), mentre, in vari punti della vasca, risultavano posizionate apposite scalette d’accesso in acqua. A ciò s’aggiungeva l’avvenuta installazione a bordo vasca di targhette indicanti la profondità dell’acqua in vari punti della piscina, oltre che la predisposizione ed organizzazione di un servizio di assistenza bagnanti (chiamato anche a controllare la condotta dei singoli utenti ed il rispetto del regolamento d’utilizzo dell’impianto).
Nel quadro ora descritto si inseriva l’azione del danneggiante che, contravvenendo all’espresso divieto sancito nel regolamento d’utilizzo del’impianto, ed assumendo una condotta assolutamente imprudente, si procurava lesioni gravi tuffandosi di testa nel punto di minore profondità della vasca.
Avuto riguardo alle descritte condizioni oggettive dell’impianto, la citata condotta è stata valutata dal Tribunale idonea ad interrompere il nesso causale fra la cosa (l’impianto piscina) e l’evento dannoso, ponendosi anzi quale causa esclusiva dello stesso. Valga riportare uno stralcio della pronuncia in commento, laddove, in particolare, il Giudicante ha rilevato quanto segue: “ (…) l’attore (….) in presenza di un regolamento che vietava di tuffarsi in piscina ed in presenza di apposite targhette che indicavano la profondità dell’acqua, non solo decideva di tuffarsi dal bordo della piscina, ma decideva di farlo proprio ove l’acqua era più bassa e cioè nel punto in cui la profondità era di 120 cm circa”. Interessante è anche altra parte della pronuncia, ove il Tribunale affronta nello specifico la problematica dei “tuffi”, fornendo un’indicazione precisa sulla condotta precauzionale che deve essere tenuta dal custode (e, dunque, sui limiti oggettivi della stessa): “ (…) l’attore sosteneva che, poiché in presenza di una piscina è “normale” tuffarsi nella stessa, il Condominio convenuto avrebbe dovuto accertarsi che ad ogni singolo utente fosse spiegato che in quella piscina era vietato tuffarsi. La premessa su cui è fondato l’argomentare del richiedente non convince. Le piscine non sono luoghi in cui ogni utente possa liberamente tuffarsi, senza rispettare alcun tipo di regola e precauzione. In linea di massima le piscine sono poste al servizio delle persone che intendono nuotare nelle stesse, oppure stare immerse nell’acqua al fine di rinfrescarsi. E’ evidente che tuffarsi dal bordo di una piscina quando vi sono altre persone in acqua è pericoloso, atteso che è molto facile che si verifichi un urto tra il tuffatore e coloro che stanno nuotando. Per tale ragione, in linea di massima, nelle piscine è normalmente vietato tuffarsi, salvo che una parte della piscina stessa non sia dedicata all’attività di “tuffo”. Nella fattispecie non vi era alcun elemento che potesse far pensare (…) che in quella specifica piscina fosse possibile tuffarsi. Nei luoghi di causa non vi era, infatti, alcun trampolino o piattaforma finalizzata all’attività di “tuffo”. La piscina era dotata di scalette per permettere agli utenti di entrare in acqua senza recare rischio a sé ed agli altri. Né consegue che l’attore, anche senza leggere il regolamento, poteva e doveva rendersi conto che non avrebbe potuto tuffarsi “da bordo vasca””.
E quanto alla condotta del custode, il Giudice ha rilevato “il Condominio, del resto, aveva provveduto anche ad esporre in una apposita bacheca posta all’ingresso della piscina il regolamento per l’utilizzo dell’impianto, regolamento che vietava, per l’appunto, di tuffarsi in piscina. Parte convenuta aveva inoltre istituito un servizio di sorveglianza e soccorso a mezzo del bagnino (….). La presenza di un addetto specificamente incaricato di sorvegliare la piscina avrebbe dovuto, secondo questo giudicante, essere più che sufficiente per evitare che qualcuno degli utenti dimenticasse che non era consentito tuffarsi in piscina”.
La sentenza riveste dunque particolare importanza giacché, a contrario, consente di individuare e descrivere la condotta richiesta al custode “per evitare il danno”.
In particolare, nell’ambito della gestione dell’impianto piscina è senza dubbio di primaria importanza istituire un regolamento di utilizzo, regolamento che deve essere portato a conoscenza di tutti i condomini e comunque essere reso conoscibile (mediante esposizione in loco e con mezzi idonei) a tutti gli utenti dell’impianto (eventualmente integrato con ulteriore cartellonistica posizionata in punti diversi dell’impianto). Il regolamento dovrà prestare particolare attenzione all’attività di “tuffo”, istituendo il relativo divieto ovvero, laddove le condizioni e le caratteristiche della vasca lo consentano, circoscrivendone l’esercizio ad un’area apposita, se del caso soggetta a specifica sorveglianza. Le norme di utilizzo dell’impianto ben potranno prevedere ed introdurre anche limitazioni (numeriche) all’accesso, avuto riguardo alle specifiche dimensioni della vasca.
Accanto al regolamento diviene fondamentale la cura delle condizioni oggettive dell’impianto, mediante l’eliminazione di ogni fattore di rischio (ad esempio, mediante rimozione del trampolino ove il regolamento preveda il divieto di eseguire tuffi), oltre che mediante la rigorosa indicazione dei livelli di profondità dell’acqua, onde rendere la stessa ben visibile e conoscibile da ogni utente.
Di sicura importanza è il servizio di assistenza bagnanti, chiamato a verificare anche il rispetto del regolamento di utilizzo dell’impianto.
Tornando alla pronuncia in esame, avuto riguardo alle concrete modalità di gestione ed utilizzo del singolo impianto condominiale (indi alle precauzioni tutte adottate dall’Amministrazione, di concerto con l’assemblea), la condotta del singolo utente danneggiato è stata valutata “per la sua assoluta imprevedibilità ed eccezionalità (….) idonea ad interrompere il nesso causale tra la cosa (piscina) e l’evento dannoso”.
Ferme le previsioni di carattere amministrativo (ed in particolare, le normative d’emanazione regionale) è dunque fondamentale prestare attenzione alla messa in sicurezza dell’impianto piscina, attraverso l’adozione di ogni accorgimento e precauzione che risulti utile e necessario a prevenire l’evento dannoso. Solo ponendosi in tale ottica di gestione è possibile circoscrivere i limiti dell’oggettiva responsabilità da cosa in custodia, giungendo, se del caso, ad escluderne l’esistenza a fronte di condotte che – in relazione allo specifico stato dei luoghi – rivestano il carattere dell’assoluta irrazionalità ed imprevedibilità.